Anche il gruppo consiliare Appello per Gualdo interviene sulla questione Calai. Lo fa il capogruppo Brunello Castellani, con una sorta di comunicato stampa che sa di amarcord.
Volevo capire perchè mi era rimasto addosso un sapore così amaro – scrive il consigliere – Non poteva essere solo una scelta che reputo sbagliata, o l’impossibilità di un dialogo vero in Consiglio capace anche di emendare e migliorare proposte decisive per il futuro della città. C’era qualcosa di più e ripercorrendo il filo delle memorie del Calai è venuto in piena luce. Il sentimento della fine di una storia“.
C’è l’ospedale di Branca, c’è la certezza che la struttura originaria resterà, che sarà riaperta per i servizi del territorio e per il Germoglio, “ma tutto questo basta a giustificare la scelta che nega una storia?“.
Castellani ripercorre la tappe dell’ex nosocomio gualdese, dalla donazione di monsignor Roberto Calai con l’inaugurazione del 1909, alla crescita esponenziale della struttura fino ad arrivare ad essere alla pari dei più perfetti ospedali d’Italia. “Nel corso di un secolo non solo le istituzioni pubbliche e le banche, ma anche tante famiglie gualdesi hanno generosamente contribuito affinché l’ospedale offrisse un servizio d’eccellenza e anche perché restasse qualcosa di cui andare fieri. Si potrebbe citare la grande tradizione della chirurgia, o l’epoca d’oro della pediatria o il centro recupero cardiopatici (primo nel centro-sud Italia) o, ancora, l’installazione del primo angiografo digitale nel nostro paese. Solo ricordando a caso e dimenticando le tantissime esperienze eccellenti di medici e operatori che hanno saputo misurarsi con le migliori innovazioni scientifiche e professionali.
Quando il Calai è stato chiuso l’impegno con la città – continua Castellani – è stato quello di far rivivere in quell’area qualcosa, in ambito sanitario o sociosanitario, che avesse un ruolo almeno regionale se non nazionale. Qualcosa che offrisse posti di lavoro, ma soprattutto fosse in continuità con una storia tanto prestigiosa. Molte obiezioni si possono muovere rispetto alla scelta compiuta dal governo cittadino, a cominciare dalla demolizione di una parte del patrimonio senza avere in mano una perizia tecnica che dica quanto costerebbe consolidare, quanto costa abbattere e, insieme, quanto si perde. Ma forse la perdita maggiore è proprio la rinuncia a fare qualcosa che sia all’altezza di una importante storia centenaria. La rinuncia a qualcosa che ci riguarda tutti, profondamente, a qualcosa di cui continuare a essere fieri.