Da mercoledì 12 ottobre saranno circa 200 i lavoratori in mobilità, con un età inferiore a 50 anni, che resteranno senza alcun sostegno al reddito. Il presidente dell’Ires Cgil Umbria Mario Bravi spiega cosa succederà: “Il loro reddito passerà da 620 euro mensili a zero. Queste persone non avranno alcuna risposta reale dal tanto reclamizzato e propagandato Sostegno per l’inclusione attiva (Sia), che appare evidente essere solo la classica goccia d’acqua nel deserto”. Bravi sottolinea che “nella Fascia Appenninica umbra si sono persi negli ultimi anni oltre 3 mila posti di lavoro. Non registriamo alcun passo in avanti, alcun intervento concreto per rimettere in moto un processo di sviluppo e di crescita dell’economia”. I 200 lavoratori si vanno così a sommare ai 150 per i quali la mobilità era già terminata lo scorso anno. Mercoledì mattina sindaci e sindacati terranno un presidio dinanzi alla Prefettura di Perugia. In questo quadro il Governo non ha ritenuto di riconoscere la Fascia Appenninica come area di crisi complessa
A SPOLETO E ASSISI I BENEFICI DELL’ACCORDO DI PROGRAMMA? – 13 milioni di euro per l’area umbra della ex Merloni erano stati messi sul piatto tramite il ricorso al regime di aiuto della legge n. 181/1989 per “promuovere la realizzazione di una o più iniziative imprenditoriali” e annunciati in pompa magna come un toccasana per l’economia della Fascia Appenninica. L’Accordo di Programma sottoscritto dalla Regione Umbria nel 2010 aveva però selezionato ben 17 comuni umbri, diversi dei quali della vicenda Merloni hanno risentito pochissimo in termini di posti di lavoro persi (senza considerare l’indotto) rispetto a quelli della Fascia.
Alcuni esempi? A marzo 2016 su 611 ex dipendenti Merloni rimasti senza lavoro 200 sono di Gualdo Tadino, 122 di Nocera Umbra, 58 di Gubbio, 28 di Fossato di Vico, 14 di Valfabbrica, 14 di Valtopina, 10 di Scheggia e Pascelupo, 8 di Sigillo, 7 di Costacciaro, per un totale di 461, pari al 75% del totale. Il resto per larga parte risiede a Foligno (84) e poi negli altri comuni.
Le due iniziative imprenditoriali ammesse alla fase istruttoria e che quindi probabilmente beneficeranno dei vantaggi previsti dalla legge sono ubicate nei comuni di Spoleto e Assisi, che complessivamente figurano con 9 loro concittadini nell’elenco di dipendenti ex Merloni (3 di Spoleto e 6 di Assisi) reso noto da Sviluppumbria. Sulla vicenda è intervenuto il consigliere regionale Andrea Smacchi per il quale il fatto che “solo due aziende su dieci potranno usufruire delle risorse della legge ‘181/’89’ per l’area ex Merloni è un dato surreale che la Giunta deve invertire, allargando al massimo la platea dei beneficiari”.
Smacchi ha anche annunciato la presentazione di una interrogazione. “Lo scopo dell’avviso della Legge 181, gestito da Invitalia e che per l’Umbria metteva sul piatto 13 milioni di euro – sottolinea il consigliere regionale – era quello di incentivare la reindustrializzazione di un tessuto produttivo ferito da quanto avvenuto con il tracollo dell’ex colosso dell’elettrodomestico. Nonostante l’arrivo di 23 domande, di cui 10 in Umbria, la nostra regione vede solo il progetto di due aziende in fase istruttoria. Aziende che, tra l’altro, fanno ovviamente parte del perimetro dell’area individuata come ‘ex Merloni’, ma non di quella, come la fascia appenninica, sulla quale l’azienda dell’elettrodomestico insisteva e la cui crisi ha avuto maggiori conseguenze”.
“LEGGE 181/89 UNA PIA ILLUSIONE” – Per Mario Bravi “la speranza di utilizzare la legge 181/89 è rimasta una pia illusione. I 13 milioni di euro previsti rischiano di non essere utilizzati. Infatti su 23 domande pervenute solo due sono in fase istruttoria. Questa situazione ci dice in maniera inequivocabile che la più grande vertenza di deindustrializzazione dell’Italia Centrale potrebbe seriamente chiudersi con un nulla di fatto. Tutto questo è inaccettabile – conclude il presidente dell’Ires Cgil – e mette in forte discussione anche il ruolo svolto dalle stesse istituzioni, locali e nazionali.”