A seguito della sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale Penale di Perugia dall’accusa di falso ideologico nei confronti di Ermanno Rosi, candidato sindaco alle elezioni amministrative del Comune di Gualdo Tadino nel 2014 e poi nominato assessore allo sviluppo economico, vicenda che aveva portato alle sue dimissioni nel luglio del 2014, riceviamo e pubblichiamo integralmente una lettera dello stesso Ermanno Rosi.
“Per mantenere gli impegni presi ma soprattutto per correttezza nei confronti di tutti coloro che mi sostennero nell’affrontare la tornata elettorale amministrative del 2014, vorrei tornare sulla vicenda che determinò le mie dimissioni da Assessore della Giunta Presciutti.
Lo faccio oggi a conclusione di un percorso che, fin troppo facilmente, avevo pronosticato tortuoso e lungo. Tortuoso perché tutti gli ambiti giudiziari sono stati interessati: quello amministrativo, quello civile e quello penale; lungo perché solo dopo quattro anni e mezzo si è giunti all’epilogo finale con l’emissione della sentenza di assoluzione del Tribunale Penale di Perugia.
Quattro anni e mezzo da quando decisi, a seguito delle dimissioni, di voler palesare nelle sedi giudiziarie competenti la mia completa buona fede.
Volevo evitare, allora senza riuscirci, di dare sponda a strumentalizzazioni, alle voci di persone poco avvezze all’analisi dei dispositivi di statuizioni giurisprudenziali. Lo feci perché ritenevo la questione legata ad aspetti giuridici estremamente complessi e certamente non passibili di sommaria interpretazione. Lo feci non certo per interloquire con i pochi “urlatori-giudici-carnefici” che, dall’alto delle loro competenze, hanno voluto esprimersi, urla che ho ignorato archiviandole come semplice conseguenza della sovraesposizione mediatica che è parte del ruolo pubblico, ma per rivolgermi ai tanti che, con discrezione e forse con un qualche sconcerto, si sono trovati a commentare magari chiedendosi: “ma Ermanno Rosi è uno sprovveduto o un disonesto?”.
La vicenda risale al 1991 quando per circa un anno feci parte del collegio dei sindaci revisori di un’azienda che poi fallì nel 1995. Ne scaturì una vicenda giudiziaria in cui fui coinvolto non come amministratore della Società ma, appunto, come membro del Collegio Sindacale. Vicenda rispetto alla quale, per gli atti di cui disponevo anche al momento della mia candidatura a Sindaco, risultavo essere stato assolto. Il dispositivo è stato sottoposto allora a legali di fiducia e successivamente ad altri legali sia professionisti che dipendenti di istituzioni amministrative e giudiziarie, e tutti, in modo univoco, hanno confermato, leggendo quei documenti, l’assoluzione. Va ricordato anche che un ufficio del Tribunale leggendo la sentenza mi dichiarava assolto, un altro ufficio leggeva una condanna a mio carico.
Di questo si è occupato il Tribunale Penale di Perugia, ovvero delle mie dichiarazioni sottoscritte al momento della candidatura e al momento della presa in carico della delega da Assessore, nelle quali ho barrato la casella dell’assenza di condanne penali a mio carico. In questa sede giudiziaria, Tribunale Penale di Perugia, si è valutato il fatto se fossi o no uno sprovveduto o un disonesto, il fatto che avessi potuto procurare danno a terzi avendo una colpa riconosciuta, il fatto che avessi ingannato gli elettori alterando così gli esiti elettorali, si è valutata davanti ad un Giudice la mia buona fede sulla scorta dei fatti e delle circostanze.
Orbene, e qui devo citare le motivazioni della sentenza (n. 18/2726 Reg. Sent.) emessa dal Tribunale Penale di Perugia ”…leggendo poi il contenuto integrale della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Perugia si rileva una evidente incongruenza ed anche contradditorietà fra l’intestazione della sentenza medesima, ove si rileva che il Rosi doveva rispondere solo del capo C) dell’imputazione (di cui compare l’assoluzione nel dispositivo), e il terz’ultimo capoverso della parte motiva (dove il mio nome è stato aggiunto a penna n.d.a.) ove invece si individua la responsabilità…” anche il Giudice ha fatto fatica a trovare nella sentenza la mia condanna. Il Pubblico Ministero stesso, dopo aver ribadito più volte durante il dibattimento il fatto che fosse non sostenibile la tesi della mancata conoscenza della condanna, una volta letto il dispositivo ha chiesto al Giudice la mia assoluzione.
Né sprovveduto né disonesto quindi, semmai tratto in inganno, fuorviato dalla scrittura di una sentenza … incongruente e anche contradditoria… che purtroppo ha anche comportato il mancato positivo ricorso in Cassazione.
Questa sentenza di assoluzione riconosce che non c’è alcun reato da perseguire perché il fatto di aver barrato quella casella, alla luce degli atti in mio possesso, non costituisce reato. Non c’è stato dolo, non c’è stata colpa, non c’è stato danno.
Questa sentenza in sostanza chiude definitivamente tutto il percorso attestando che nulla è stato fatto, sia amministrativamente, sia civilmente che penalmente, con la volontà di procurare qualsivoglia danno. Non cambia gli esiti e poco conterà, ma per me è l’attestazione di un percorso corretto e trasparente che ho fatto nella certezza di avere tutti i requisiti civili ed amministrativi per poterlo affrontare.
Grazie a questa annosa vicenda, a tratti amarissima, ho conosciuto a fondo la cattiveria l’ipocrisia la maldicenza, ho toccato la pervicacia e l’assurda insistenza con cui certi personaggi si sono accaniti sulla questione, ho assistito a decisioni giudiziarie a dir poco opinabili, ho constatato che ci sono ambienti nei quali auspico che non debba mai capitare a nessuno di cadere e questi sono solo aspetti con connotazione pubblica, quelli privati, anche se ben più pesanti, li tengo ovviamente per me.
Devo ringraziare la mia famiglia che sempre mi ha sostenuto e il mio avvocato con il quale abbiamo affrontato innumerevoli ostacoli giudiziari.
Non ho dubitato mai sul fatto che la Giustizia avrebbe riconosciuto le mie ragioni. Lo ha fatto, come temevo, con i tempi che le sono propri, ma questo è solo un altro rammarico.”
Ermanno Rosi