I sindacati tornano a farsi sentire sulla vertenza Jp Industries e mettono nel mirino il silenzio del Ministero e dell’azienda chiedendo chiarezza sul futuro. Fim, Fiom e Uilm, che un mese fa avevano inviato una lettera al vice capo di Gabinetto, Giorgio Sorial, attendono da fine gennaio la convocazione di un tavolo di crisi.
“Dal Mise e dall’impresa ancora nessuna risposta – evidenziano le tre sigle – I lavoratori sono gli unici che mantengono gli impegni. Siamo arrivati ormai a giugno e non si è più avuto alcun contatto dalle istituzioni nazionali e territoriali. L’azienda ad oggi non è ancora in grado di dare risposte certe e si lavora a periodi intermedi, senza che i lavoratori siano pagati: nel 2019 infatti ancora non è stato versato neanche uno stipendio ed i mesi cominciano ad accumularsi”.
Quindi ad oggi non vi sarebbe nessuna certezza per i dipendenti della Jp Industries, tranne quello della cassa integrazione che però scadrà nel mese di dicembre. “L’entrata a regime della CIGS costituisce sicuramente una boccata di ossigeno per il sostegno delle famiglie – sottolineano i sindacati di categoria – ma rimane esclusivamente un palliativo che rischia di finire in tempi rapidissimi mentre gli impegni presi erano quelli di utilizzare questi ulteriori dodici mesi di ammortizzatore sociale conservativo per il rilancio definitivo dell’azienda”.
Fim, Fiom e Uilm rivolgono perciò un appello a Ministero, azienda e Invitalia per dare delle risposte rispetto agli impegni assunti. “È necessario che sia convocato immediatamente il tavolo presso il ministero dello Sviluppo economico in maniera tale che sia l’imprenditore che Invitalia rispondano degli impegni presi; è fondamentale che l’azienda dica come intende procedere definitivamente con il rientro delle mensilità arretrate“, scrivono i rappresentanti dei lavoratori.
“Ad oggi gli unici a mantenere le promesse sono i lavoratori portando avanti le attività, ma non si può loro chiedere ulteriori sacrifici ed il tempo sta passando inesorabile, con il rischio di andare un dramma sociale ed industriale che i territori interessati non possono più permettersi”, concludono i sindacati