Riceviamo e pubblichiamo un articolo a firma della geologa Mara Loreti sul tema del pino nero della pineta di Sascupo. I lettori possono inviarci le loro opinioni all’indirizzo redazione@gualdonews.it. La decisione sulla pubblicazione spetta unicamente alla redazione.
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“La specie Pinus nigra è specie endemica delle Alpi orientali, dei Balcani, dei Carpazi del Bacino del Mediterraneo e Appennino centrale-meridionale. La popolazione è stata ridotta e frammentata durante le glaciazioni quaternarie ed è specie relitta e pioniera.
Il Pino nero è specie elio-xerofila resistente all’aridità del suolo, indifferente al tipo di substrato litologico. Per queste sue caratteristiche è stata reintrodotta in zone impoverite e degradate per eccessive ceduazioni o dove il bosco di latifoglie era assente, in zone povere di suolo con rocce affioranti e che presentano ripidi pendii.
Proprio perché questi boschi, ormai naturalizzati, sono situati in ripidi versanti calcarei, è bene che questi consorzi ad alto fusto, maestosi, che assumono una bellezza e solennità particolari, vengano lasciati a svolgere la loro azione. Infatti un loro servizio ecosistemico è quello di prevenire le alluvioni in un territorio fragile, mantenendo la stabilità del suolo e del soprasuolo.
Nella Pineta di Rigali coesistono alberi di diverso diametro. Alcuni in perfetto stato vegetativo, altri in situazione di ostacolo alla crescita come è normale che avvenga, in autogestione, grazie alla rete radicale fungina, vero cervello della pianta, che collega tutti gli alberi di un bosco. Insomma una selezione naturale escogitata come strategia per la sopravvivenza del bosco stesso, senza la mano dell’uomo. Il dinamismo della vegetazione presente testimonia che siamo in presenza di un ecosistema da mezzo secolo in perfetto equilibrio con le specie vegetali ed animali. Con la vita del suolo, con i fattori geopedologici, chimici, fisici e biologici. Una pineta che non ha mai presentato attacchi parassitari e fitopatie.
Il Pino nero, che vegeta bene in terreni calcarei e che resiste bene anche al gelo e alla neve si è fatto scegliere dai forestali per la sua notevole rusticità, in zone ad elevato rischio di dissesto idrogeologico, per una certa velocità di accrescimento e la capacità di vivere su suoli poveri e difficili, anche in assenza di vegetazione.
Per questo fu impiantato a Gualdo Tadino, anche in località Sascupo, come in tutta l’Umbria, semplicemente perché i vivai negli anni 50/60, avevano una grande produzione di conifere e volevano riportare “l’idea delle Alpi” in Appennino.
Nessuna motivazione allora, era legata al fatto che si sarebbe ricostituito negli anni a venire (60 anni) un bosco autoctono, in loro sostituzione.
Basta fare un conto elementare: le conifere, pur se a crescita più veloce delle latifoglie, impiegano 60 anni per diventare appena mature (che non vuol dire vecchie) e produrre una struttura del suolo, per la rinnovazione (improbabile per tanti motivi di fisiologia vegetale, pedologia….) di un bosco autoctono, semmai e con estrema lentezza, come si osserva anche a in certe aree di Sascupo: gli ornelli impiantati, senza la presenza di conifere, hanno una crescita lentissima. Per questo ciclo da conifere/latifoglie si va oltre la vita di un uomo. Quindi affermare obiettivi non sostenuti neanche dalla matematica è inopportuno e denota profonde carenze in campo botanico e neurobiologico e, permettetemi, della conoscenza del territorio gestito.
L’altra verità inconfutabile è che le conifere sono state impiantate nei versanti montani dove il bosco non c’era o se presente presentava una crescita stentata, lentissima a causa del suolo arido-calacreo, in situazione di grave dissesto idrogeologico.
La prova inconfutabile è che nessuna Pineta nella nostra regione (e non solo) è stata mai sostituita con un bosco autoctono, né spontaneamente, né artificialmente.
Il perché è semplice: è un sempreverde bellissimo a cui siamo affezionati. E’ un bosco naturalizzato che ha pari dignità e diritti degli altri boschi. Lo dicono anche i tanti uccelli, rari rapaci che vi nidificano!
Un sistema biologico complesso che va tutelato e conservato nel tempo come è stato ben fatto negli anni dall’AFOR, con delicati e adeguati interventi di semplice manutenzione, mai di sostituzione. Convivono perfettamente Pini con ornelli eliofili in perfetto equilibrio chimico/biologico.
I nostri boschi sono poveri, degradati e poco estesi, Non sono affatto da considerare boschi commerciali, per sfruttamento delle biomasse, ma sono produttori di CO2 nell’atmosfera e quindi assolutamente da evitare a causa della crisi per il riscaldamento climatico globale!
Siamo in pieno contrasto con quello che viene messo in atto in tutto il mondo e gridato dal mondo della Scienza: piantare milioni di miliardi di alberi e restaurare i boschi sfruttati per eccessiva ceduazione.
Un calo di densità all’interno del bosco porterà come risultato ad un bosco aperto ad un cambiamento del microclima, sconvolto da mezzi meccanici, da nuove vie d’accesso, che avrà come unico risultato la distruzione del suolo e soprasuolo, di perdita di stabilità e di equilibri ecosistemici conquistati nel tempo.
Il suolo sarà esposto al dilavamento con perdita di carbonio, impedendo la formazione dell’humus a causa dell’aumento della temperatura al suolo e della scomparsa di microfauna e microflora, creando un ambiente asfittico, acido, sterile tale da impedire la ricostituzione in tempi brevi della struttura fisico-chimica e biologica, tale da non consentire la ricrescita spontanea di piante eliofile decidue. Tra l’altro nessun intervento è stato previsto post diradamento.
E che dire della fauna in pieno periodo riproduttivo, in fuga. Il bosco è la CASA degli animali, senza animali la biomassa del bosco decresce, e con essa lo stoccaggio del carbonio al suolo…
Per quanto riguarda “l’invecchiamento”, basta solo ricordare quanto affermano gli illustri esponenti del mondo scientifico come Fabio Clauser, Gianluca Piovesan, Alfredo Di Filippo e Stefano Mancuso.
Il bosco non ha bisogno dell’uomo. Nasce, cresce, diventa adulto, maturo, si rinnova da solo. Il bosco non muore mai, invecchia ma si rigenera, esisteva prima che arrivasse l’uomo, prima di 3 milioni di anni fa!
Infine leggete questo articolo di Luigi Lenzini sulle biomasse…”
Mara Loreti – naturalista e geologa