Era il 26 luglio del 1751, una calda estate gualdese di 269 anni or sono. Gualdo era allora molto più piccola, concentrata esclusivamente dove sorge oggi il centro storico e certamente non aveva ancora subìto l’espansione edilizia che ha poi caratterizzato l’inurbamento a valle. Il Colle Sant’Angelo, dove ancora oggi sale la città fin quasi a toccare la montagna e il cielo, confondendosi con l’azzurro del firmamento estivo e con il grigio quasi mistico delle basse nubi autunnali, risuonava di vocii e vita.
Un’esistenza lenta, rispetto a quella odierna, povera a tratti, realtà per la maggior parte caratterizzate dall’agricoltura, come accadeva in tutta l’Umbria. Il problema economico si sarebbe acuìto da lì a qualche decennio, iniziando quel celebre capitolo della storia italiana che avrebbe visto molti dei nostri antenati emigrare altrove.
Ma in quel 26 luglio ben altro affliggeva i gualdesi; la terra aveva tremato, lo aveva fatto diverse volte in verità, spaventando non poco la popolazione. Molti, avendo visto qualche crepa nelle proprie abitazioni, avevano ben pensato di passare la notte sotto le stelle. Era estate, non si pativa di certo il freddo, ed era una buona scusa per ritrovarsi assieme, parlare, raccontarsi storie.
Ma la terra, che mai in Umbria pare volersi acquietare, non era ancora sazia, come fosse in preda a un ancestrale rito che si ripete da secoli.
La nostra regione è tristemente abituata ai movimenti tellurici; celeberrimo il terremoto del 1328, con epicentro Norcia, dove si registrarono numerose vittime, ma anche quello del 1315 a L’Aquila, del 1279, che flagellò Nocera Umbra e Foligno, del 26 Aprile del 1458, sempre concentrato sulla dorsale appenninica umbro-marchigiana, e così via, fino a giungere a quello del 1997 che tutti noi, tristemente, ricordiamo fin troppo bene.
In verità, la terra, a memoria di quei gualdesi di più di duecentocinquant’anni fa, aveva già imposto la sua presenza negli anni addietro (ad esempio nel 1729 e nel 1747), apportando non pochi danni, e quelle donne e quegli uomini ben conoscevano il “nemico” funesto che tornava a chiedere il suo obolo.
La terra fu allora scossa in modo indicibile, narrano le fonti, in quel 26 luglio del 1751. La torre del Palazzo del Podestà venne rovinosamente deturpata crollando in diverse sue parti, come lo stesso fortilizio. La stessa triste sorte subirono la Cattedrale di San Benedetto, danneggiata anch’essa (e poi, come si evince dall’iscrizione sulla facciata, subito ristrutturata), il “Palazzo dei Priori”, del ‘300, all’incirca laddove oggi sorge il Municipio, parte della cinta muraria federiciana, case private e infine le fontane cittadine (che in molti casi si prosciugarono, tornando a concedere il loro prezioso “dono” solo dopo tempo, e lungamente rigettando solo acqua torbida e contaminata a causa dei crolli nelle condutture). Certo il proscuigamento, seppur momentaneo, delle fonti d’acqua, che a noi può non dire granché, dovette essere una delle piaghe maggiori. Oggi diamo per scontato il gesto dell’aprire un semplice rubinetto in casa ma allora, le fonti pubbliche, e da tempo immemore, erano l’unico modo per accedere al fondamentale bene.
Secondo recenti studi il terremoto del 1751 dovette raggiungere il sesto grado della scala Richter. Tutta la città, e i borghi attorno ad essa, furono pesantemente sfigurati. Gualdo si sarebbe risollevata grazie all’aiuto economico che subito sarebbe stato predisposto dalla Curia, per volontà di Papa Benedetto XIV, ma non avrebbe mai più avuto lo stesso volto. Quel terremoto, effettivamente, ci privò di molti dei nostri edifici “storici”.