Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Filippo Cappellini della Comunanza Agraria Appennino Gualdese. I lettori possono inviarci le loro opinioni all’indirizzo redazione@gualdonews.it. La decisione sulla pubblicazione, così come il diritto di sintesi, spetta unicamente alla redazione.
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di Filippo Cappellini
Il TAR dell’Umbria l’anno scorso dichiarava illegittima la proroga di concessione Rocchetta, ed un recente pronunciamento del Consiglio di Stato ha confermato che, salvo improbabili ribaltamenti nell’ultimo grado di giudizio, questa arriverà a termine a febbraio 2022. La strada per la salvezza dell’azienda si sta facendo via via più stretta, tra improvvide decisioni politiche ed un costante aggirare le problematiche per non doverle affrontare. Nel frattempo la giurisprudenza nazionale ha chiarito molti dei punti più complessi della nostra vicenda; la loro analisi oggi potrebbe aiutarci a risolvere una volta per tutte la questione Rocchetta.
I princìpi, le sentenze
Sappiamo chiaramente che, per legge, le Regioni non hanno alcuna titolarità sui terreni ricadenti nei demani collettivi delle singole comunità. C’è una lunga giurisprudenza su questo tema, longeva e unanime. Ma sulle acque? Sulle sorgenti, i fiumi, i corpi idrici? Ricorderete la sentenza dello scorso anno che sancì l’appartenenza della sorgente Rocchetta al demanio collettivo Gualdese. Sorsero quindi molti interrogativi: qualcuno sostenne che certamente le fontane e le sorgenti possono ricadere nel demanio collettivo, ma non certo le falde ed i corpi idrici sotterranei, perché “tutto quello che è sotto terra è della Regione!”. Altri sostennero che l’acqua, bene pubblico almeno in teoria, non possa certo essere gestito da un ente privato. La settimana scorsa la Regione Umbria ha però perso l’ennesima causa, stavolta contro due cittadini del comune di Sant’Anatolia di Narco. Questi chiedevano perché, se le sorgenti del loro territorio erano patrimonio collettivo, Regione Umbria e Comune le avessero date in concessione alla Valle Umbria Servizi S.p.A, che di rimando ne rivendeva l’acqua alle stesse comunità proprietarie, e a caro prezzo. (Qui la sentenza integrale)
I due soli cittadini hanno vinto la causa, ma ciò che più interessa sono le motivazioni ed il dibattimento tra Regione Umbria e Giudice: “…5.Per quanto riguarda la nozione di “corpi idrici” si discute se essi riguardino solo le acque superficiali ovvero anche quelle sotterranee. Si chiede il Difensore della regione Umbria : “com’è possibile che i cittadini possano esercitare usi civici sulle acque situate a molti metri di profondità?” Dunque, secondo l’interpretazione del Difensore della Regione Umbria, solo le acque superficiali potrebbero costituire una proprietà collettiva.
Il commissario non condivide tale prospettazione.
Essa appare ingiustificatamente riduttiva e non tiene conto dell’evoluzione della materia degli usi civici che, sin dal 1985 con la legge Galasso, e poi con la giurisprudenza della Corte Costituzionale è stata valorizzata sempre più quale tutela ambientale.
La Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 46/1995 (relatore Luigi Mengoni) aveva evidenziato che “la sovrapposizione fra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente si riflette in uno specifico interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di una integrazione tra uomo e ambiente naturale’… …Alla luce di questa ricostruzione unitaria dell’ambiente possono considerarsi beni collettivi anche le acque sotterranee senza le quali l’ambiente, considerato nell’insieme delle sue componenti, non potrebbe essere conservato e valorizzato e ciò anche al fine di preservare l’unitarietà del paesaggio da considerarsi quale “una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni” (a.131 – D.Lgs. 42/2004). Invero gli usi civici “concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano intesa quale integrazione tra uomo ed ambiente naturale” (C. Costituzionale sentenza n. 113 del 10 aprile 2018).Ne è riprova l’inclusione dei corpi idrici nel patrimonio antico dell’ente collettivo (patrimonio civico o demanio civico) come tale escluso dall’applicazione del diritto comune.
In altri termini non può esistere un diritto pieno sui pascoli o sul bosco senza l’uso delle acque, anche sotterranee, che alimentano questi sistemi ecologici…”
E ancora: 7.Deduce ancora la Difesa della Regione Umbria che: “L’interpretazione contraria, assolutamente incostituzionale, qualora condivisa, comporterebbe una vera e propria “rivoluzione” dell’ordinamento giuridico, in quanto da un lato rende legittima l’appropriazione da parte di un ente di diritto privato di una proprietà pubblica per eccellenza, l’acqua, il cui attingimento si può affidare solo in concessione, dall’altro l’acquisizione a titolo originario della proprietà dei terreni su cui l’acqua insiste travolge i principi di diritto del nostro ordinamento”. La portata innovativa della legge 168/2017 è indubbia.
Essa ha introdotto molteplici innovazioni nel nostro ordinamento configurando la proprietà collettiva considerata un terzo ordinamento civile della proprietà (Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, Ordinanza n.12482 del 24/06/2020).
Soprattutto ha riconosciuto “i domini collettivi, comunque denominati, come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie…”. Trattandosi di una legge ordinaria è destinata ad abrogare le norme precedenti che con essa siano in contrasto.
E ancora: 8. La Difesa della Regione Umbria eccepisce poi l’incostituzionalità di tale norma non indicando tuttavia quali disposizioni costituzionali sarebbero violate. Vale la pena osservare che la legge 168 del 2017 è stata emanata: “1. In attuazione degli articoli 2, 9, 42, secondo comma, e 43 della Costituzione”. Inoltre la stessa: non “positivizza” ma che prende atto della (pre)esistenza di una proprietà collettiva “originaria”, intesa sia come “comproprietà inter-generazionale” sia quale “ordinamento giuridico primario” delle comunità stesse, a sua volta soggetto (non alla legge, ma direttamente) alla Costituzione” (Cfr., Cassazione, Sez. 2, Sentenza n.24978 del 10/10/2018). Del resto il riconoscimento dei poteri di autonormazione e di gestione dei beni da parte della collettività non è contrario alla Costituzione bensì è espressione del principio di sussidiarietà (a.118 Costituzione).
“L’acqua in mano ai privati”
Sul fraintendimento che nasce invece tra la natura giuridica privata e la valenza pubblicistica, la Corte Costituzionale con la sentenza 71/2020 spiega definitivamente che: “Sulla Inderogabile valenza pubblicistica del bene collettivo non incide certo la facoltà…per gli enti esponenziali delle collettività titolari di domini collettivi di assumere personalità giuridica di diritto privato. È evidente che tale facoltà attiene unicamente alle modalità di gestione di tali beni, che può essere costituzionalmente legittima solo nel perimetro fissato dal particolare regime giuridico dell’assetto fondiario, dall’uso paesisticamente coerente dello stesso e dall’impossibilità di escludere da tale particolare societas il godimento del bene collettivo spettante a ciascun membro della collettività.” Chi continua oggi a ridurre una Comunanza a semplice “ente privato” cercando di sminuirne i valori e le prerogative, è quindi un bugiardo o in malafede.
La politica, oggi
Abbiamo ormai chiari, con tutti i riferimenti legislativi del caso, i punti cardine per la risoluzione della vicenda Rocchetta:
- Solo le comunità locali ed i loro enti esponenziali possono gestire e tutelare i beni collettivi, come avviene da secoli. Legge e Costituzione spiegano che il demanio collettivo, nel nostro caso, appartiene proprio alla comunità Gualdese. Non a Regioni, non a Province, non a Comuni. E così per ogni proprietà collettiva in Italia.
- Regione Umbria e Comune non possono dare in concessione né disporre in alcun modo né dei terreni, né delle sorgenti, né dei corpi idrici del demanio collettivo.
- La concessione Rocchetta ricade nel patrimonio collettivo della comunità Gualdese, non solo sottoposto ad uso civico ma riscattato ed acquistato con atto notarile.
Questo è ormai chiaro sia a Regione Umbria sia ai politici locali, che però continuano beatamente a far finta che la legge non esista. Il nostro Sindaco ha avviato l’ennesimo ricorso – a spese dei contribuenti – volto a chiudere l’ente Comunanza. Dimentica che, come nel caso di Sant’Anatolia, anche un solo cittadino può portare avanti le medesime istanze. Non servono enti o maggioranze per esercitare diritti. Il nostro ex-Sindaco, ora assessore Regionale all’ambiente, sta cercando di emanare con urgenza una nuova legge sul tema delle concessioni d’acqua minerale.
Dalle bozze sembrerebbe che questa nuova legge “dimentichi” di nuovo le proprietà collettive, ed in molti pensano che l’assessore voglia poi forzare la mano ed inventare una nuova concessione Rocchetta basata sulla sua nuova legge regionale, andando contro praticamente ogni principio giuridico e costituzionale. E’ evidente che la politica non sta affrontando la questione con la dovuta serietà, arrivando oggi ad accumulare una serie di problemi che saranno di difficile risoluzione, dai pozzi e relative sanatorie edilizie illegittime ai rinnovi di concessione annullati. Far finta che la legge non esista sta portando un’azienda sana verso un inesorabile baratro. Essendo oramai noti a tutti, dai politici agli uffici tecnici, sia i principi che le leggi, se si prosegue con recidività non si potrà più paventare la colpa, quanto il dolo.
In tutto questo si stanno poi beatamente ignorando gli obblighi di legge sulle tutele ambientali; dall’effettuare uno studio di bacino completo, al valutare le interferenze tra pozzi pubblici e privati, al quantificare e garantire il deflusso minimo vitale dell’ecosistema.
La strada stretta
Nel messaggio di fine anno il Presidente della Repubblica ha lanciato un messaggio alla politica tutta: ”Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. E’ questo quel che i cittadini si attendono”.
Abbiamo un ultimo anno di tempo, e due strade possibili: La politica vorrà costruire, e deciderà finalmente di mettersi ad un tavolo e trovare delle soluzioni a problemi di cui finora non ha mai riconosciuto nemmeno l’esistenza, da quelli ambientali a quelli amministrativi a quelli legali. Si dovrà accettare che i molti privilegi ed illegittimi dati ormai per garantiti non sono più ammissibili, e qualche industriale non ne sarà felice.
La politica potrà altrimenti fuggire dalle proprie responsabilità, e lo noteremo facilmente. Verrà pubblicata una legge Regionale incostituzionale, che sarà ovviamente impugnata in tribunale. Vedremo crescere un pressing mediatico delle solite associazioni ambientaliste farlocche, dei partiti, o peggio vedremo strumentalizzare operai e trasportatori come già fatto in passato. Si farà probabilmente felice qualche amministratore delegato, senza comprendere che si starà segnando il futuro di un’azienda.
C’è bisogno di costruttori, non è più tempo per fingere che legge e tutela ambientale nella nostra città non esistano. Se la politica trascurerà ancora a lungo le proprie responsabilità, toccherà ad un giudice l’ultima parola sulla questione. I giudici non hanno però a cuore le sorti di città, comunanze o aziende; valuteranno solo se la legge è stata o meno rispettata. Con tutte le conseguenze del caso”.
Filippo Cappellini