Domenica 1 agosto alle 20,40 si terrà nella cornice dell’anfiteatro “Daniele Mancini” in piazza Soprammuro a Gualdo Tadino la presentazione del romanzo storico “Un angelo in miniera” di Sebastien Mattioli edito da Albatros-Il Filo nella collana Nuove Voci – Vite. L’iniziativa è patrocinata dal Comune di Gualdo Tadino, dal Comune di Audun-Le-Tiche, dal Polo Museale Città di Gualdo Tadino e dal Museo Regionale dell’Emigrazione Pietro Conti.
Il libro è dedicato alla storia dell’emigrazione italiana dal secondo dopoguerra nelle miniere di Francia e Belgio. Dialogherà con l’autore Catia Monacelli, direttrice del Polo Museale Città di Gualdo Tadino; interverranno: la scrittrice Arianna Frappini, il sindaco di Gualdo Tadino Massimiliano Presciutti e la giornalista per il servizio estero dell’ANSA Maria Laura Franciosi che ha fatto conoscere in Italia la storia della grande emigrazione in Belgio attraverso il libro “Per un sacco di carbone”, presidente fondatore del Press Club di Bruxelles e nominata Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia, onorificenza attribuita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo impegno a far conoscere le vicende dell’emigrazione italiana nel mondo.
Per questa serata ci sarà l’apertura straordinaria del Museo Regionale dell’Emigrazione Pietro Conti dalle ore 21 alle ore 23. Il museo è centro studi, laboratorio didattico e luogo di memoria, nato per sottolineare il patrimonio storico, culturale ed umano legato al grande esodo migratorio che coinvolse l’Italia a partire dalla fine del 1800.
“La scelta di scrivere un romanzo sull’emigrazione italiana è coincisa con la volontà di ricordare la storia di mio nonno Angelo Mattioli, emigrato nelle miniere di ferro di Audun le Tiche e di tanti come lui, inquadrandola in una stagione di riscoperta dell’emigrazione umbra, che nella sua evoluzione storica ha avuto proprio nei comuni della dorsale appenninica, di cui è parte Gualdo Tadino, uno degli epicentri maggiori – sottolinea l’autore – Nel 2021 in uno scenario che prefigura l’abbattimento delle frontiere nell’ottica della globalizzazione totale, perché interrogarsi sull’emigrazione italiana? Si potrebbe rispondere che l’uomo non cambia mai e che, in un’epoca che macina tutto e consuma velocemente, diviene fondamentale recuperare e conservare la memoria del proprio passato, perché un popolo senza memoria non ha futuro. Si potrebbe anche aggiungere che tanto più oggi, in un’era dominata dalle nuove tecnologie, acquista maggior valore fare riferimento a una dimensione perduta dell’esistenza umana, a dimenticati modi di pensare e di agire a misura d’uomo.”
“Recuperare le proprie radici può divenire utile per capire se stessi e anche per comprendere come i valori e le storie depositate da decenni nel nostro immaginario determinino, poi, non solo i comportamenti, ma anche la storia e la costituzione sociale e politica dei popoli. Pensare il futuro sulla base di ciò che è stato, perché ciò che è stato può ripetersi, e di fatto si ripete. Magari forme e modalità sono apparentemente cambiate, magari l’Italia è coinvolta diversamente, di certo oggi ne abbiamo una percezione del tutto nuova. Ma la storia ci ricorda che questo noi siamo stati, un “Paese di Migranti”. In poco più di cento anni dal 1876 al 1988 sono emigrati circa 27 milioni di italiani, molti sono rientrati, e ciò malgrado, secondo un calcolo approssimativo che comprende figli e nipoti, gli italiani all’estero sono circa 50 milioni di cui due terzi nelle Americhe. Un’altra Italia vive e cammina sotto altri cieli di cui una discreta percentuale di questi connazionali sono umbri. Per questo essere italiani è una storia.”