Oggi si è scritta la parola fine sulla storia della ex Antonio Merloni. Il 15 maggio infatti si conclude la cassa integrazione straordinaria per i 479 dipendenti rimasti degli stabilimenti di Colle di Nocera Umbra e Fabriano della Indelfab, l’ultima società nata sulle ceneri del colosso del bianco.
Una storia che inizia in Umbria nel 1984, con la più importante azienda contoterzista di elettrodomestici d’Europa che a Colle di Nocera apre uno stabilimento imponente che nei primi anni Duemila toccherà il massimo dell’occupazione di quel sito con 1.700 addetti e una produzione di circa 6.500 pezzi al giorno.
Poi dal 2005 l’inizio di un lento declino, con le prime cassa integrazioni a rotazione. Tre anni dopo l’azienda entra in amministrazione straordinaria con i 1.250 dipendenti che finiscono in cassa integrazione. Viene attivato un Accordo di Programma che nelle intenzioni delle istituzioni dovrebbe rilanciare il territorio della Fascia Appenninica, ma di fatto in quest’area arriveranno le briciole con una incidenza pressochè nulla sulla rioccupazione.
Nel 2012 la Jp Industries acquisisce i siti di Colle e Fabriano riassorbendo circa 700 dipendenti, ma la produzione non decolla. Si va avanti negli ultimi anni a colpi di cassa integrazione finchè, dopo il passaggio a Indelfab, nel 2019 viene aperta la procedura di concordato in bianco che viene respinto nel dicembre 2020 aprendo la strada al fallimento.
Da domani i dipendenti di Umbria e Marche potranno usufruire per due anni della Naspi.
“E’ la fine di un’epoca – ha commentato Luciano Recchioni di Fiom Cgil – Si sono succeduti governi, amministrazioni e imprenditori, ma tutto è rimasto fermo. Oggi ci ritroviamo con lo stabilimento deserto, solo la parte della mensa, che è stata venduta, sarà riconvertita. La situazione è drammatica – prosegue il delegato Fiom – perché molti lavoratori avranno difficoltà a trovare una nuova occupazione con effetti spaventosi sullo spopolamento del territorio della Fascia Appenninica”.
“Constatiamo che non chiude una azienda che conta ancora 479 addetti tra le regioni Umbria e Marche, ma chiude una delle pagine più importanti del territorio marchigiano, che ha prodotto ricchezza e sviluppo per decenni – ha scritto in una nota Giampiero Santoni, Segretario Regionale Fim Cisl Marche – Oggi emerge ancora di più la rabbia di un territorio che, nonostante tutti gli interventi delle istituzioni, Ministeri, Regioni e Comuni interessati, non è riuscito a rilanciare un comprensorio pieno di competenze, professionalità e cultura del lavoro.”
“Posti di lavoro che non verranno più ricreati – evidenzia Santoni – Dietro a queste lavoratrici e lavoratori ci sono altrettante famiglie con figli e non tutti hanno la capacità e l’età per ricollocarsi, tanto più in un territorio così desertificato. È vero, diversi sono prossimi alla pensione, altri nel frattempo si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato precariamente in altre aziende in attesa di soluzione industriali che non sono mai arrivate, ma rimane tutto l’amaro in bocca per non aver trovato soluzioni occupazionali”.
“Questi ulteriori licenziamenti – conclude il sindacalista – sono una sconfitta sociale per e del territorio, delle istituzioni e della politica che non ha più la capacità, qui come altrove nel paese, di progettare uno sviluppo e una competitività in grado di creare occupazione e generare un meccanismo virtuoso teso al ricollocamento”.
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