Diadema Edizioni, un ponte tra self publishing e editoria tradizionale

-di Mario Fioriti
scrittore e socio fondatore di Diadema Edizioni

L’esperienza di Diadema al Salone Internazionale del Libro di Torino ha pienamente confermato quelle che erano le aspettative con le quali ci siamo affacciati a questo evento, legate indubbiamente alla visibilità della casa editrice, delle nostre autrici e dei nostri autori, ma non solo.

Tra i motivi che ci hanno spinto a partecipare al Salone c’erano la possibilità di allargare contatti e relazioni professionali, di imparare dagli altri, apprendere metodi, crescere e comprendere meglio le dinamiche e gli orientamenti di questo comparto, per misurare e bilanciare i nostri indirizzi.

È su quest’ultimo aspetto che vorrei soffermarmi, anche a seguito di un articolo firmato da Alberto Marzocchi su Il Fatto Quotidiano all’indomani della chiusura del Salone stesso, nel quale si afferma come il Salone del Libro sia “sempre bello, ma gli editori vedono nero: il mercato è in crisi e il costo della carta spaventa. La soluzione? Più qualità, meno pubblicazioni”.

La parte, a mio avviso, più interessante del pezzo di Marzocchi riguarda qualcosa che personalmente conosco piuttosto bene e che riporto testualmente: “Più di un editore punta il dito contro le troppe pubblicazioni, c’è un mercato drogato da self-publishing e da finte case editrici che obbligano gli autori a comprare centinaia di copie del proprio libro. Sono, sostanzialmente, stamperie mascherate da case editrici.”

Quando Rita Pecci, la Presidente di Diadema, mi ha girato l’articolo, dopo averlo letto le ho risposto con questo messaggio: “E si sono accorti adesso?”

Parlo più da “autore” che da provetto “editore”, ma la prima volta che sottoposi un mio romanzo ad una casa editrice non c’era neppure internet, i pc erano con le scritte verdi e i floppy-disc grandi come un foglio A4, io avevo tanti capelli e si scriveva a macchina; fui contattato, mi recai a Bologna a parlare direttamente con l’editore, mi proposero la pubblicazione, però… sotto lauto compenso. Avevo 24 anni, era il lontano 1992. Trent’anni fa!

Prendersela con chi fa auto pubblicazione poi è una sciocchezza, perché chi si autopubblica non va ad alimentare il mercato della cosiddetta EAP “Editoria a Pagamento”, preferisce fare tutto da sé, ben consapevole dei limiti.

Mario Fioriti e Rita Pecci di Diadema Edizioni

Sarebbe tema di una lunga discussione, ma cerco di sintetizzare il perché prendersela solo con questi fenomeni costituisce uno sbaglio, per di più incredibilmente tardivo, quindi un errore doppio. Se il mercato è in crisi (io non ero nato e il mercato era già in crisi e non solo quello del libro, per dire), le colpe, se di colpe si tratta, sono prima di tutto dei grandi editori stessi, che in Italia si traducono in tre gruppi: Mondadori, Feltrinelli, Mauri Spagnol.

Esistono esempi diversi, certo, da Adelphi a Il Mulino, Sellerio, Castelvecchi, Baldini e Castoldi, Donzelli, La nave di Teseo solo per citarne di virtuosi. Tuttavia vorrei fare qualche esempio: Einaudi, Piemme, Rizzoli, Sperling & Kupfer sono solo alcuni marchi del gruppo Mondadori, mentre Marsilio è uno dei Feltrinelli e Mauri Spagnol ha, tra gli altri, Longanesi, Guanda, Salani, Tea, Corbaccio, Ponte alle Grazie.

Questa polarizzazione non è soltanto imprenditoriale, ma anche geografica, segnatamente: Roma, Milano, Torino. Poco altro. Qualcosa Bologna e Napoli, pochissimo Firenze. Sellerio è per lo più “siculo-centrica”. Cosa significa? Che all’ombra, e a lato, dei grandi e troppo irraggiungibili poli il mondo si è organizzato, bene o male ma lo ha fatto e, a quanto pare, è cresciuto all’inverosimile, perché oggi, a differenza di qualche decennio fa, realizzare e stampare un libro è più facile e con il digitale neppure troppo oneroso.

È probabilmente vero, anche se è un cliché un po’ superficiale, che in Italia c’è più gente che scrive di quella che legge, ma porlo in negativo come un ridicolo male è un’evidente stupidità. Che male c’è nello scrivere? E se tutta o buona parte di questa energia si è riversata nella cosiddette case editrici a pagamento, forse è anche perché l’editoria classica se n’è altezzosamente fregata, ha lasciato campo libero, fingendo di non vedere. Per cosa? Per pubblicare esclusivamente capolavori indimenticabili? Non scherziamo.

Lamentarsi adesso di questo fenomeno, per di più vecchiotto, è sinonimo di cecità, di non assunzione di alcuna responsabilità e profondamente ingiusto. Il self-publishing poi non è affatto in concorrenza con i medi e grandi editori, bensì proprio con quelli che si fanno pagare e potrebbe essere una risposta non un pericolo, perché magari, tra tanta autodeterminazione, qualche bel libro si trova.

Infine, ma non per ultimo, la “colpa” è di noi autori e autrici, che siamo disposti a firmare contratti con i quali ci trasformiamo in clienti di noi stessi, costringendoci a comprare ciò che abbiamo creato.

Per questo quando abbiamo fondato Diadema Edizioni ci siamo dati questa regola, quella di non chiedere soldi a nessuno, né ante né post produzione, riservandoci la facoltà di scegliere cosa pubblicare oppure no e, soprattutto, sostenendo e promuovendo coloro che abbiamo scelto e a cui accostiamo il nostro marchio.

Questo è lo spirito che abbiamo portato con noi a Torino e che portiamo ad Amelia questo fine settimana alla prima edizione della “Biennale Umbria Letteraria”, a cui partecipiamo con un nostro stand e due presentazioni per l’intera durata della manifestazione, da venerdì 27 a domenica 29 maggio.

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Redazione Gualdo News
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