Altro? Inno al forno di Pachini, il nostro canale youforn

di Mario Donnini

Altro?
È la domanda che più è risuonata nel centro storico di Gualdo Tadino, in tutta la storia dell’umanità. Ed è anche il quesito di chiusura con cui Maria e Michelina “Pacchini” per mezzo secolo hanno squisitamente apostrofato ciascun cliente del forno, accomiatandolo.
E ora che pare sia chiuso forse per sempre, non posso, non voglio crederci.

Mezzo secolo l’ho trascorso pure io, là, a rate gastronomiche, quasi fossero altrettante puntate di un cooking show. Stritolato nelle insidiose spire delle due fornostar e delle zuccherate tentazioni del pachiniano canale youforn, fossero esse il mai eguagliato e cioccolotoso salame del re intriso di crema bianca, gli insidiosi strufoli carnevaleschi di Piselli, ovvero frappe autoprodotte piuttosto che le letali rocciate, acciambellate come serpenti a sonagli sprizzanti promesse di diabete.

Confesso d’aver visto e fatto le cose più affascinanti e pericolose del Pianeta Terra, ed erano tutte al forno: il resto l’ho passato sui circuiti di mezzo mondo e, vi assicuro, sull’asfalto c’era e c’è meno adrenalina e soddisfazione a cibarsi di emozioni, rispetto a chi se magna la roba del forno de Pachini.

Ho amato la paccatella e financo la filetta da due etti e mezzo, mi sono sfatto il girovita di panini all’olio, prima che luminari di gastroenterologia me li vietassero.

Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho ricevuto i sacramenti della Prima Comunione e della Cresima sol perché dopo la dottrina nonna mi permetteva di andare a prendere la pizza di Pachini, quella rossa, salvo poi tradirla per la crescia bianca alla cipolla, la morte sua e, secondo le mie più recenti analisi, un po’ anche la mia.

E poi il fascino della fila selvaggia. Perché il forno di Pachini non è mai stato politically correct, coi numeri e i bigliettini. Oh no. Al forno chi ce sa fa salta la fila, guadagna i posti a buffo, entra ultimo e arriva primo, come i velocisti belgi a viale Roma, nel volatone della Milano-Sanremo.

E conosco due o tre signore di Gualdo, austere ed espertissime, meravigliose madri di famiglia, capaci di farsi servire in due minuti, trovandosi in coda, anche di fronte a una fila di sei ore. La più grande? La più mitica? Quella che ho amato e amo più di tutte: Romola de Pulone, probabilmente.

Ma poi è col sor Ettore “Pacchini”, che voglio chiudere ‘sto discorso, peraltro non chiudibile, perché il forno di Pachini resta infinito nello spazio, nel tempo e nel cuore di tutti noi.

Caro sor Ettore, con me fin da quando ero bambino sei stato sempre carino e dopo avermi servito la pizza calda mi davi appuntamento al Bar Appennino, dove mi insegnavi a giocare all’Aquilone, nella sala in cui mi faceva entrare babbo, quella dei grandi, dei notabili, quando ai tavoli c’erano pure il poro Abramo Carlotti col fiocco da commerciante, il sor Rubboli, il Cardellino, padre del Riccio, e il Paesello. Insomma gente e cose così. Roba da storia di Gualdo, ecco. E anche un po’ da leggenda.

E l’ultima immagine del sor Ettore Pachini c’è l’ho di una trentina di anni fa, quando, ormai malcresciuti, io e i mei amici verso settembre avevamo l’abitudine di prenderci una sbornia e poi d’andare a scalampare la notte in piazza, giocando a pallone, fino all’arrivo dei somari per le prove dei Giochi de le Porte.

Be’, mi ricordo, una notte uscì dal forno il sor Ettore, venne in piazza e vedendoci giocare a calcio gli s’illuminò il volto, ridiventando bambino a sua volta. Sapevo che era stato gran calciatore da giovane, così da lì a invitarlo a giocare con noi fu tutt’uno.
Era vecchio, ormai, cavolo, se era vecchio proprio. Ma lui non aspettò. Non esitò. Mise i pizzi del grembiule grigio dentro le tasche della giacca – lui portava a lavoro il grembiule sopra la giacca -, e si gettò nella mischia. Durò pochi minuti, ma godeva.
Calciando ancora un pallone aveva la lingua fuori e gli occhi beati di chi è tornato nel suo paradiso perduto. Perché oltre che il pane, sapeva fare gol.

Insomma, vorrei farla corta e dire che il forno chiuso, adesso, mi sa triste tanto quanto la carriera calcistica del sor Ettore, prematuramente interrotta.
Perché chi ha talento nel fare una cosa deve farla per sempre.

E mi piacerebbe tanto che, così come accadde con lui, pure le eredi Pachini decidessero una volta ancora di riprovarci, di riaprire quell’angolo di paradiso loro e così tanto anche nostro.
Perché Gualdo senza Pachini è come il liceo senza la gita del quinto.

E quello non è solo un forno, ma anche il museo dei nostri ricordi, la pinacoteca della nostalgia e l’ara pacis della gualdesità.

Mi sembra d’avere detto tutto, eppure non è così che voglio chiudere, perché m’è dolce e fragrante qui e ora il naufragare ribadendo la più pachiniana e nostalgicamente rimpianta delle domande, in attesa di scoprire come andrà a finire.
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Redazione Gualdo News
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