Ricordo dunque sono: il professor Gianni Paoletti sul libro di Emiliano Pinacoli

Perché la memoria delle cose è forse più delle cose stesse

Riceviamo e pubblichiamo la recensione di Gianni Paoletti sul libro di Emiliano Pinacoli “Viva la scena vivace. Foto di gruppo con adolescente”. La pubblicazione, in uscita il prossimo 11 dicembre, è stata curata da Marco Gubbini ed edita da Diadema Edizioni.

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Philip Roth fa dire a un suo personaggio: «si è giovani una volta sola, ma si può scegliere di restare immaturi per tutta la vita». Un libro di imminente uscita presso l’editore gualdese Diadema, Viva la scena vivace. Foto di gruppo con adolescente, di Emiliano Pinacoli sembra essere, fra le molte altre cose, una delle versioni possibili di quell’intuizione del mostro sacro Roth.

Viva la scena vivace è il racconto di una felice, finemente elaborata, immaturità, è il memoir molto ben ritmato di una adesione totale e pura alla vita, avvertita come una scena, appunto, dove tutto è troppo vivo, colorato, attraente: gli affetti, le illusioni, il pianto, le esplosioni di una felicità delirante, le epifanie di grandi, transitorie verità, ma anche il sospetto, per quanto ancora vago, del dissolversi di tutto. Scelta, con candore e autoironia, come regola perenne di una vita saggia, l’immaturità è il precetto di un’esistenza capace di una sensibilità sempre accesa, in grado di vedere sempre tutto con uno stupore primordiale, con quella meraviglia che salva dal cinismo, dalla piattezza e dal gretto desiderio di avere, di possedere, di primeggiare. E che, qualche volta, fa anche soffrire: il prezzo da pagare da chi si ferma a osservare, mentre gli altri corrono. L’adolescente che in questo libro si racconta in prima persona, da una distanza ormai matura di trent’anni, è un funambolo della provincia italiana, e cioè, a pensarci bene, di quasi tutta l’Italia. Rimettendo insieme per fotogrammi il suo tempo perduto, il giovane che è stato fa ritornare a galla, con scioltezza di stile, il mondo di una generazione, quella che incrociò i suoi anni più veloci e famelici con l’epoca di una finta palingenesi collettiva: quegli anni Novanta che promisero molto, ma mantennero poco o nulla. Una giovinezza inquieta, qualche volta ribelle, ma anche incerta, felice senza sapere di esserlo, e soprattutto sognante, svagata, vissuta da outsider a qualunque costo. Questo tempo perduto, ma mai perso o sprecato, viene raccontato dall’autore con la leggerezza dell’ironia di se stesso, ma anche con il candore, la sincerità degli anni in cui tutto si prende sul serio, in cui nulla è margine, ma tutto è come dentro un vortice centripeto di passioni assolute.

Ne viene fuori un’odissea di provincia, fra amori strampalati e puri, amicizie strette per una vita, turbamenti, eccitazioni, scoperte, bugie e stronzate, molta musica in sottofondo, cinema: quando il mondo fuori dal paese doveva di certo essere tutto una straordinaria America. Ma null’altro che una beata finzione, confezionata dalla tv. Fra le sue pagine in presa diretta, l’autore, raccontandosi e raccontando un intero mondo, divertendo e commuovendo il lettore, suggerisce che la memoria delle cose, forse, è più delle cose stesse, come a farci riflettere su una legge che, alla fine, anche lui ha intuito: ricordo, dunque sono.

© Gianni Paoletti

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Redazione Gualdo News
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