Emiliano Pinacoli ci regala un viaggio nella memoria con il racconto di una speciale reunion tra ex compagni di scuola elementare a Gualdo Tadino, protagonisti del quinquennio 1980-1985. Un evento che si trasforma in una macchina del tempo capace di far rivivere emozioni, ricordi e legami di un’infanzia vissuta nel cuore degli anni Ottanta.
Un’occasione per riscoprire il passato e celebrare l’infanzia in una Gualdo Tadino che, con i suoi maestri, le sue tradizioni e i suoi valori, era probabilmente un luogo ideale per crescere.
Forse a Gualdo Tadino il 17 dicembre è avvenuta una delle prima reunion in città tra compagni delle scuole elementari; non sono molto usuali, di solito si fanno con quelli delle superiori.
Non è stata una semplice cena come le altre. Noi eravamo la sezione A del quinquennio 1980/1985 della scuola elementare del capoluogo.
Ci sarebbero state tutte le motivazioni per sentirmi imbarazzato e fuori luogo, cioè ritrovarmi fianco a fianco ad alcuni di loro che l’ultima volta che li avevo visti c’era ancora il muro di Berlino. Non era facile, ma invece è scattato qualcosa che non so spiegare bene, come una magia.
Sì, era una magia. Appena seduto tutto è tornato come tanti anni fa, la stessa identica confidenza, le stesse prese in giro, lo stesso vociare a toni altissimi, fregandosene degli anni che si hanno, le stesse risate, spensierate e di cuore.
Guardavo intorno a me quei visi e li vedevo di nuovo bambini, nella mia testa era tornata nitida e limpida l’immagine di come erano. D’un tratto eravamo tutti dentro una bolla spazio temporale dove i problemi e le preoccupazioni non esistevano più.
Molti dicono che la macchina del tempo non esiste, ma le serate come questa sono proprio una macchina del tempo in tutto e per tutto. Sono una nave che ti culla e ti riporta indietro e tu stai lì che ti lasci trascinare. E gli aneddoti tra di loro si agganciano, i ricordi che avevi rimosso si ricompongono e il quadro della tua vita ritorna un po’ più chiaro.
E così il giorno dopo, ripensando alla sera prima, dal nulla ti si stampa in viso un sorrisetto ebete che ti fa capire che a volte non tutto passa invano.
Lo so che può sembrare patetico e sciocco, ma non lo è. Ci ho riflettuto e ho capito perché ho sentito uno strano legame con quei lontani compagni di scuola.
Quelli erano i visi del mio primo impatto con la vita, con l’amicizia, le primissime persone con cui mi sono confrontato, quelle con cui ho scoperto alcune emozioni fondamentali. Sono stati il mio ingresso nel mondo, la fase più delicata e pura della mia esistenza.
E’ stato stupefacente per me sentirmi a questa reunion assolutamente tranquillo e sicuro. E’ come un incantesimo in cui si cade da piccoli e da cui non ci si perde mai.
In un attimo avevo ritrovato tutti i miei ricordi che avevo smarrito, ed erano li, in un’unica grande memoria collettiva. E così il tempo perde la sua barriera, anche se si cambia, anche se si diventa cinquantenni, e quelle persone che gli anni hanno sparpagliato in giro, ritornano insieme a dove tutto era stato interrotto.
Era una scuola diversa quella che ho frequentato io, molto simile a quella del libro Cuore. Anche noi avevamo un maestro, uno solo, che era una sorta di grande padre, un prolungamento della famiglia.
Erano metodi didattici che ancora risentivano dell’austerità del dopoguerra, con tutti i pro e i contro. Il maestro era Italo Giubilei e il libro Cuore ce lo leggeva sempre. Ricordo lo teneva rilegato con una carta marrone in cui lui aveva disegnato un cuore con un pennarello rosso. L’ultimo giorno di scuola delle elementari si commosse parecchio leggendocene l’ultima pagina.
Le passeggiate di primavera sulla collina dei Salesiani, che all’epoca mi sembrava la foresta pluviale, i filmini didattici anni 50, sparati da un vecchio proiettore: si chiudevano le finestre, si metteva un grosso telone davanti alla lavagna e l’aula diventava una sala cinema, le recite il 7 dicembre al teatro dell’Oratorio, quando don Ennio organizzava le sfide tra le classi con i quiz sui misteri del rosario, ed io facevo la notte in bianco per impararli tutti e per fare le prove a schiacciare abilmente, e in fretta, l’interruttore dell’abatjour sul comodino della mia stanza.
Noi che recitavamo: ci preparava il maestro Brunello Troni, ci chiamava la mattina mentre gli altri erano a lezione sottraendoci ai temi e alle addizioni. Era una pacchia!
E poi le tombolate i giorni di Natale con le caramelle, i torroncini e i poster delle pop stars come premio, l’abbonamento a ‘Il Giornalino’ (una sorta di ’Famiglia Cristiana’ per ragazzi), i poster di Villeneuve e Pironi vicino alle cartine geografiche dell’Italia, le lezioni di musica con Sesto Temperelli e il flauto che si riempiva di saliva, la ricreazione e le feste di carnevale sul grande salone della scuola, i Giochi della Gioventù al vecchio stadio con il grande torneo di calcio tra tutte le scuole della città.
Potrei continuare per ore a scrivere di tutti quei ricordi di quaranta anni fa che sono ancora così vividi in me.
Che bella era Gualdo Tadino negli anni 80, una grande famiglia, il posto perfetto per crescere.
A 8 anni uscivo di casa la mattina e andavo a scuola da solo, a piedi, e nel tragitto incontravo i miei compagni e ci fermavamo a comprare i lecca lecca col chewing gum al negozietto che noi chiamavamo ‘della Vecchietta’, quello vicino al ‘Coco Bianco’ che riparava le biciclette. Poi attraversavamo la strada ed entravamo in quell’atrio austero con il busto di Domenico Tittarelli, giovane soldato gualdese caduto al fronte, sulla linea gotica contro le truppe nazi-fasciste.
E il maestro ci cresceva e ci insegnava a leggere e a scrivere e poi a diventare adulti.
Ci formava e ci plasmava la mente, con le poesie da imparare a memoria, con le canzoni degli alpini, con i valori di un mondo lontano che veniva da un passato di stenti, in cui andare a scuola era una ‘cosa per privilegiati’.
Ecco noi bambini degli anni 80 forse siamo stati i più felici di tutti i tempi, perchè il futuro si stava aprendo, stavano arrivando i computer, i videogiochi, la tv e i cartoni animati giapponesi che raccontavano di storie galattiche.
Era tutto colorato e fluorescente, ma ancora si facevano le corse in bici, si giocava tutti insieme all’aria aperta, avevamo sempre le ginocchia sbucciate come ai tempi in cui non si aveva niente.
Io credo che in questa sorta di perfetto equilibrio tra passato e futuro vivevamo un presente irripetibile che dopo qualche anno sarebbe degenerato.
Si, nonostante tutto siamo stati felici e neanche me ne rendevo conto. Forse è stato questo il motivo per capire quanto sia stata utile questa reunion.
Le scuole elementari le abbiamo finite nel giugno del 1985, gli stessi giorni in cui i Righeira cantavano “L’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande lo sai che non mi va”. Ripensandoci oggi, era proprio come mi sentivo.
Era il giugno del 1985. Dopo gli esami di quinta con i miei compagni, abbiamo gettato le cartelle giù dall’ultimo piano della scuola. Quella mattina una pioggia di fogli, di libri e di quaderni aveva decretato la nostra gioia e la confusione per un’avvenire nuovo che ci si prospettava davanti e che da quel momento in poi toccava solo a noi plasmare.
Ritrovare i propri amici di infanzia il 17 di dicembre: se a 50 anni non è questa una magia di Natale, be’ vi sfido a trovarne un’altra.
Emiliano Pinacoli