La vicenda della morte per infarto dell’imprenditore gualdese Massimo Gramaccia è finita in tribunale. Lo riporta il quotidiano “La Nazione” nelle sue pagine regionali. Era la mattina del 28 dicembre del 2014 quando l’uomo si sentì male e i familiari chiesero l’intervento del 118. Trasportato al pronto soccorso dell’ospedale di Branca e accertato durante il tragitto che si trattava di un infarto, una volta giunta al nosocomio comprensoriale l’ambulanza ripartì alla volta dell’ospedale di Perugia, attrezzato per intervenire nei casi più gravi “indicato come competente per quel territorio dal Protocollo regionale operativo per la gestione dei pazienti con infarto del miocardio acuto”, riporta il quotidiano. Per arrivare al “Santa Maria della Misericordia” l’ambulanza non percorse la vecchia statale 318 per Valfabbrica, ma passò per Foligno. A Perugia, però, Massimo Gramaccia arrivò senza vita.
La moglie dell’imprenditore e la sorella Paola, ex assessore e attuale consigliere comunale di Gualdo Tadino, hanno sporto denuncia. Il motivo lo spiega al quotidiano fiorentino la stessa Paola Gramaccia. “Mio fratello è stato colpito da un grave infarto mentre era a Gualdo Tadino, aveva bisogno di un intervento urgente al cuore, è stato trasportato a Perugia, dove è arrivato morto, anziché essere ricoverato a Foligno, nonostante l’ambulanza fosse passata proprio da quelle parti lungo il tragitto per raggiungere il capoluogo”.
Lunedì scorso, dinanzi al gup Lidia Brutti e al pm titolare delle indagini, Gemma Miliani, sono state discusse le conclusioni di una perizia disposta con la formula dell’incidente probatorio, in cui due esperti medici legali di Siena non hanno ravvisato profili di colpa professionale nei confronti dei medici inquisiti. Di parere opposto sono però i periti di parte nominati dall’avvocato Nicola Madia, che tutela la famiglia della vittima. Sarà ora il pubblico ministero a decidere se procedere con la richiesta di rinvio a giudizio o se archiviare.
IL SISTEMA DELL’EMERGENZA-URGENZA – La vicenda arrivò due anni fa in Consiglio regionale con una interrogazione question-time presentata dall’allora consigliere Sandra Monacelli (vedi video). La presidente della Giunta regionale ricostruì la vicenda evidenziando le modalità di funzionamento del sistema dell’emergenza-urgenza in Umbria. “Le linee guida sanitarie – disse Catiuscia Marini nella sua riposta – prevedono, per larga parte della provincia, che l’Azienda Ospedaliera di Perugia gestisca le emergenze di secondo livello (in Umbria sono due: Perugia e Terni, ndr), disponendo di determinate complessità organizzative e specialistiche. Tutti gli altri ospedali principali, compreso quello di Branca, gestiscono le emergenze di primo livello. Sono quindi i medici del 118 e la centrale operativa, sulla base della valutazione del paziente, a stabilire se l’intervento può essere svolto in un ospedale di primo o di secondo livello.”
Massimo Gramaccia, secondo la prima diagnosi, come detto dalla Marini, necessitava di una angioplastica primaria. “Fu quindi condotto all’ospedale di Branca e da qui a Perugia, che era stata allertata dall’ospedale stesso.”
L’ANGIOGRAFO DI BRANCA – Sandra Monacelli, nella sua replica, evidenziò quella che giudicò una grave responsabilità della burocrazia: “Perchè all’ospedale di Branca è presente un angiografo costosissimo ma, in virtù di una convenzione, viene fatto usare solo un giorno a settimana? Se il macchinario fosse sempre attivo, quel giorno, vista la constatazione del personale del 118 dell’infarto acuto in corso, con un cardiochirurgo proveniente da Perugia si sarebbe potuto predisporre l’intervento. Ma così non è stato perchè la convenzione non prevede questo.”