Il 25 giugno 2021 è una data che entrerà di diritto negli annali della cronaca cittadina.
In questo giorno, che si rivelerà poi rovente non solo per il clima torrido, è stata pubblicata la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha giudicato legittima la proroga della concessione regionale – in scadenza nel febbraio 2022 – “per la coltivazione di sorgente di acqua minerale” alla società Rocchetta.
Contro le sentenze pronunciate in grado di appello è possibile proporre il ricorso per revocazione, opposizione di terzo e il ricorso per Cassazione solo per i motivi attinenti alla giurisdizione.
Nei primi due casi le motivazioni sono stringenti. Per approfondimenti clicca qui
Il massimo organo di tutela della giustizia nell’amministrazione pubblica si è espresso sull’appello per la riforma della sentenza del Tar dell’Umbria del settembre scorso. Una questione, quella della proroga della concessione, che divide l’opinione pubblica da sei anni. Da una parte si sono visti schierati i sostenitori delle ragioni della società Rocchetta, della Regione e del Comune di Gualdo Tadino, dall’altra chi è convinto delle istanze rappresentate dalla Comunanza Agraria Appennino Gualdese.
Nel mezzo tanti gualdesi che avrebbero voluto si trovasse un accordo e poter vedere e vivere di nuovo la valle della Rocchetta devastata dall’alluvione del novembre 2013 e soltanto in minima parte ripristinata.
Di fronte al Consiglio di Stato si è costituito in giudizio anche il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Nell’articolato dispositivo, il Consiglio di Stato, oltre a ripercorrere i fatti principali della complessa vicenda, ha riunito in un solo processo tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza. Nel giudizio si trattava, appunto, della legittimità del provvedimento regionale di proroga della concessione mineraria.
Innanzitutto, il collegio presieduto da Giuseppe Severini ha evidenziato che l’art. 826, comma 2, del codice civile assegna al patrimonio indisponibile dello Stato (competenza trasferita alle regioni) “le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità è sottratta al proprietario del fondo” e il regio decreto n. 1443 comprende tra le lavorazioni nelle miniere anche l’attività di ricerca e coltivazione di acque minerali e termali.
Il procedimento di proroga della concessione seguito riguarda l’ex legge regionale, quella del 2008, in quanto la nuova normativa, che prevede, tra l’altro, l’espletamento delle gare d’appalto è entrata in vigore lo scorso 1 aprile.
Questa procedura amministrativa, iniziata nel 2015, si è intrecciata con un altro procedimento finalizzato al mutamento di destinazione d’uso dei terreni dove sono collocati i pozzi di emungimento delle acque minerali in quanto vi insistono i diritti di uso civico “appartenenti – evidenzia il Consiglio di Stato – a una collettività indeterminata della quale la comunanza agraria è ente esponenziale”.
Citando le relative disposizioni di legge, il collegio giudicante ha sottolineato che “i Comuni e le associazioni, ovvero le comunanze agrarie, sono entrambi legittimati ad assumere l’iniziativa per l’avvio del procedimento di mutamento di destinazione d’uso e ciascuno in relazione ai diritti di uso civico di cui è titolare la collettività di riferimento”. “Il Comune di Gualdo Tadino – si legge nella sentenza – non era legittimato a richiedere il mutamento di destinazione d’uso dei terreni gravati da usi civici dei quali è provato godesse una collettività il cui riferimento esponenziale era costituito dalla Comunanza”. Per questo motivo, il Consiglio di Stato, su questo punto, ha confermato l’illegittimità del provvedimento accertata dal Tar. Da tale illegittimo provvedimento il Tribunale amministrativo regionale ha derivato l’illegittimità del provvedimento di proroga della concessione, “per l’impossibilità, preclusa una diversa destinazione dei terreni, di poter dare attuazione al programma degli investimenti”.
IL MOTIVO PRINCIPALE DELLA RIFORMA DELLA SENTENZA DEL TAR IN APPELLO – Ma questa conclusione è stata giudicata errata dal Consiglio di Stato in quanto dalla lettura del provvedimento di mutazione della destinazione d’uso de terreni (in sanatoria, n.d.r.), considerato che l’attività della società Rocchetta vi era svolta da tempo, “risulta che le aree interessate sono ben contenute e circoscritte rispetto all’intera superficie dei terreni gravati dagli usi civici”. Come previsto dalla legge regionale del 2008, i pozzi R1 e R2 si trovano in regime di “zona di tutela assoluta” che è “nella piena disponibilità del titolare della concessione ed è esclusivamente destinata alla protezione e gestione dell’opera stessa”. Per questo, ha sentenziato il Consiglio di Stato, “il procedimento di mutamento di destinazione d’uso non parrebbe portare ad una diversa regolamentazione delle aree: è prioritaria per legge, patentemente ragionevole, la tutela dell’attività estrattiva e la messa in sicurezza dell’area. E’ del resto ben difficile ipotizzare attività di utilizzazione civica a ridosso dei pozzi”. Per il collegio presieduto da Giuseppe Severini, dunque, è erroneo, come fatto dal Tar, far discendere la nullità del procedimento di proroga della concessione da quello di mutamento di destinazione d’uso dei terreni: “per tutto il tempo della durata della concessione – è scritto nella sentenza – le aree dei pozzi, sia pur ricadenti nel dominio collettivo della Comunanza, sono sottoposte a regime della zona di tutela assoluta”. E, ne discende, che è previsto un indennizzo verso i soggetti privati o pubblici che hanno diritti e facoltà sui terreni interessati. Nelle aree concessorie assoggettate a “regime di rispetto ristretto e di rispetto allargato”, invece, non sono previste limitazioni agli usi civici, in particolare al pascolo e non vi è richiesto il procedimento di mutazione della destinazione d’uso.
Riguardo al fatto che la Comunanza “pretende mettere in discussione ora i provvedimenti con i quali, sin dal 1976, – scrive il collegio giudicante – è stata concessa alla Rocchetta S.p.A. lo sfruttamento della sorgente d’acqua minerale”, detti provvedimenti, “sono divenuti da lungo tempo inoppugnabili per mancata tempestiva impugnazione”.
Sui riferimenti fatti dalla Comunanza alla legge n. 168 del 2017 “Norme in materia di domini collettivi”, il Consiglio di Stato evidenziando che questa, non avendo carattere retroattivo, per la sentenza non può trovare applicazione in relazione a provvedimenti adottati prima della sua entrata in vigore, “né portata retroattiva le riconosce la sentenza del 2018 del Commissario per gli usi civici il quale, anzi, specifica, in relazione all’inserimento dei ‘corpi idrici’ tra i ‘beni collettivi’ che ‘si tratta di una nuova categoria di beni collettivi non prevista dalla legislazione previgente in materia che aveva riconosciuto alcuni usi civici su beni idrici, ad esempio pesca, abbeverare gli animali, escludendo diritti sulle acque stesse”.
LA PARTECIPAZIONE DELLA COMUNANZA – Si evidenzia, inoltre, che la Comunanza ha partecipato ad un incontro indetto dalla Regione con le amministrazioni coinvolte nel settembre 2015, pertanto, “non si potrebbe negare, sotto un profilo sostanziale e finalistico, l’avvenuto confronto dialettico con l’amministrazione” e “ha potuto trasmettere il proprio parere sulla perimetrazione delle aree di salvaguardia – ossia in relazione all’effetto di impatto immediato per gli interessi della collettività titolare degli usi civici”.
IL CONSIGLIO DI STATO SULLE CRITICHE AL PIANO DELLA SOCIETA’ ROCCHETTA – Riguardo alle critiche e alle contestazioni fatte dalla Comunanza al programma di investimenti della società di acque minerali – “Oasi Rocchetta” e risanamento della valle che veniva acconsentita senza verificare se lo stato di dissesto non fosse direttamente imputabile alle opere di derivazione idrica realizzate negli anni passati dalla società e all’omessa manutenzione delle stesse”, il Consiglio di Stato ha ritenuto i motivi infondati e ne spiega le ragioni. Nei provvedimenti concessori non si fa espresso riferimento al concetto di “deflusso vitale”, ma il Consiglio di Stato concorda con la sentenza del Tar in quanto la Regione, specificando la quantità massima di acqua prelevabile (tanto per l’acqua minerale “Rocchetta” quanto per quella “Serrasanta” e, al contempo, imponendo l’attivazione di un sistema di monitoraggio dei prelievi integrato con quello pubblico, “abbia inteso apprestare le misure di salvaguardia della risorsa idrica nel rispetto del ‘minimo vitale’” e su questo punto viene citata anche la relazione tecnica dell’Arpa.
In riferimento alla sorgente “Serrasanta”, questa è stata ricompresa all’interno dell’originaria concessione del 1996 e, dunque, scrive il Consiglio di Stato, anche per questa andava chiesta la proroga, come fatto dalla società, e non la richiesta di una nuova concessione.
LE ISTANZE DA PORRE NELLA FASE ATTUATIVA DEL PROGRAMMA ROCCHETTA – “Le critiche che la Comunanza rivolge alle iniziative contenute nel programma di investimenti – è scritto nella sentenza – segnalano criticità da tener, se del caso, in considerazione in fase attuativa”. E ciò vale, scrive il collegio giudicante, anche sulla relazione del dott. Mandrici presentata dalla Comunanza, in cui, in sostanza, è evidenziata la necessità di meglio equilibrare l’iniziativa della creazione di un’Oasi naturalistica con l’insieme degli strumenti di pianificazione e tutela della fauna e del territorio già vigenti”.
IL CONSIGLIO DI STATO SUI MOTIVI DEL DISSESTO DELLA VALLE – Riguardo alla relazione peritale del geom. Paolo Aloisio, la quale ha confermato lo stato di dissesto in cui si trova la valle della Rocchetta (principalmente a causa di “fenomeni di ruscellamento e smottamento”), mentre – si legge nella sentenza – “l’ipotesi che viene avanzata che l’inadeguata esecuzione delle opere relative alle condotte di adduzione e alle varie tubazioni di alloggiamento dei cavi Enel e telematici da parte della medesima società sia concausa della condizione di dissesto, risulta essere circostanza irrilevante ai fini dell’apprezzamento dell’iniziativa (il progetto e l’investimento Rocchetta, n.d.r) da parte dell’amministrazione comunale”.
“Miglior sorte – concludono dal Consiglio di Stato – non si può riconoscere all’ulteriore critica contenuta nel motivo proposto, secondo la quale di tutto l’investimento previsto di 30milioni500 mila euro solo il 10% avrebbe una reale incidenza sull’economia locale, poiché la gran parte degli investimenti riguarderebbe unicamente Rocchetta S.p.A., spetta solo all’amministrazione, e in termini qualitativi più che quantitativi, apprezzare la validità delle iniziative proposte in termini di sviluppo del territorio”.
Così come, in merito alla necessità evidenziata di richiedere i provvedimenti di V.i.a. e di V.i.n.c.a., il Consiglio di Stato conferma quanto sentenziato dal Tar: vanno inoltrati solo al momento della realizzazione dei singoli interventi.