Nel nuovo episodio di “Waldum – Voci da una città che racconta”, il progetto di Sara Bossi dedicato alle storie vere e profonde della comunità gualdese, incontriamo Ines Chiavini e Nicola Bicchielli, due vite segnate da percorsi diversi ma destinate a intrecciarsi in un amore forte e duraturo. La loro è una storia di difficoltà, malattia, disuguaglianze sociali, ma anche di pazienza, resilienza e riscatto. Una storia narrata con delicatezza, dedicata alla memoria di una donna elegante e forte, così come la ricorda sua nipote Martina.
EPISODIO 5 – UNA STORIA D’AMORE CHE CRESCE TRA LE TENSIONI SOCIALI
Ines Chiavini nasce il 25 maggio 1931 a Gualdo Tadino, in condizioni sfortunate. Sua mamma, orfana e di conseguenza cresciuta in un istituto minorile prese il cognome di “Bandiera” che, come altri simili, era un modo per marcare l’origine istituzionale di un bambino in un’epoca in cui non avere i genitori era spesso stigmatizzato.
Ines e sua mamma non erano sole, non subito almeno. Con loro c’era un’altra figlia, la secondogenita, purtroppo però a causa di una brutta polmonite ritenuta non curabile all’epoca se ne andò troppo presto.
La mamma di Ines deve rimboccarsi le maniche, portare il pane a casa, occuparsi della sua bambina.
Inizia a lavorare per una ricca famiglia, come spesso accadeva ad una donna di uno status inferiore.
Il suo pensiero era solo quello di far vivere decentemente sua figlia, purtroppo però l’agiata famiglia per cui si dava da fare non accettava di dover sfamare una bocca in più e quindi Ines si abituò presto a mangiare sotto il letto della mamma, di nascosto, senza farsi scoprire.
Questa storia non sarebbe potuta continuare a lungo, avrebbero presto scoperto i padroni di casa Ines a sgranocchiare briciole di nascosto.
La mamma decise di compiere un grande gesto d’amore, uno di quelli che fai per il bene delle persone che ami, ma che ti strappa il cuore: Ines doveva entrare in una casa famiglia, perché meritava di crescere meglio di ciò che la sua attuale vita le stava riservando.
Non per questo si persero i rapporti; ogni settimana madre e figlia si incontravano, chiacchieravano di come erano andati i giorni in cui non si erano viste e contavano gli attimi che mancavano per tornare, magari, a casa insieme.
Dai sei ai diciotto anni Ines vivrà insieme ad altri bambini senza genitori, anche se lei una mamma la aveva, stava solo aspettando di poterla “vivere” di nuovo, in condizioni migliori.
Mezzanotte del 25 maggio 1949 la dolce Ines compie 18 anni: ora è libera, può scegliere di andarsene, di tornare a casa.
Le sofferenze però non sono ancora finite, anzi, sua mamma morirà proprio quell’anno ed Ines contrarrà la tubercolosi, la famosa “tisi”: una malattia che ti lacera il corpo, che ti fa tossire sangue, che ti indebolisce e ti accompagna fino alla morte.
Finalmente però Ines incontrò un briciolo di fortuna, perché non appena i signori per cui lavorava la madre lo seppero, potè intraprendere grazie al loro sostegno economico una cura sperimentale che la fece rimanere per due anni chiusa in un “sanatorio”: strutture mediche residenziali, destinate alla cura e al ricovero delle persone affette da tubercolosi. Servivano per isolare i malati, limitare totalmente i contatti e fornire cura e assistenza continuativa in un ambiente controllato.
Esce viva da questa orribile situazione, perdendo l’uso di un polmone.
Riesce a trovare lavoro presso il “sartino” di Gualdo Tadino e nel frattempo viene accolta da una famiglia di Padule, ma per poco.
Sua madre aveva acquistato un piccolo appartamento lungo il vicolo della Capezza, che però era abitato da persone che pagavano l’affitto e non avevano intenzione di andarsene, tanto che Ines dovette vivere per un periodo di tempo nella loro soffitta, senza gas e acqua corrente, a patire la solitudine ascoltando le risate e il calore di chi non sapeva cosa volesse dire consumare un pasto in piena “solitarietà”.
Fino a che una cara amica, Dina, dal carattere risoluto e determinato, decise di chiamare il maresciallo e cacciare via la famiglia locataria, così che Ines potesse almeno godersi la casa che sua madre aveva comprato con tanti sforzi nella speranza che un giorno avrebbero rivissuto insieme.
All’alba dei suoi 23 anni conosce durante una serata da ballo presso il teatro “Talia” l’uomo che poi non avrebbe mai smesso di incontrare: suo marito, Nicola Bicchielli o “Il Bello” per gli amici.
La relazione inizialmente sarà tortuosa, incepperà nelle distanze sociali che dividevano due partiti ben diversi. Nicola, figlio di genitori benestanti che avevano fortuna perchè “c’aveano le bestie” e Ines, figlia di nessuno, affetta precedentemente da tubercolosi, curata, ma ancora potenzialmente contagiosa secondo le credenze del tempo quindi anche cagionevole e forse chissà, con difficoltà a concepire.
Eppure l’amore sembra non conoscere confini neppure nel 1957, in quel tre febbraio dove Ines e Nicola convolarono a nozze e festeggiarono presso il famoso “Bottaio” di Gualdo Tadino.
Ines e Nicola ebbero due figli: Fabbrizio (e sì, con due “b”) e Loretta.
Ines e Nicola non ci sono più, ma fino a che hanno vissuto lo hanno fatto insieme dal 1957, senza pretese.
Costruendo da soli piano piano i loro sogni, una bella casa, dei figli, una famiglia.
Questa episodio è dedicato a te Ines, la cui vita ti ha sempre schiaffeggiata, ma te hai confuso questi schiaffi per carezze ed è grazie a questa pazienza, resilienza che sei sempre una donna forte, elegante, raffinata.
È così che ti ricorda Martina, tua nipote, la quale ha vissuto accanto a te fino alla fine, assicurandosi che non ti mancasse mai nulla, che avessi sempre un bel rossetto ed una messa in piega impeccabile come nelle belle foto che mi ha mostrato.
Vi ricordiamo così Ines e Nicola: come una bella ginestra che cresce dove nulla cresce.
Perché anche dove la terra è arida vive la speranza di un futuro migliore.