Dopo l’ultima sentenza sulla vicenda Rocchetta-Comunanza Agraria-Comune di Gualdo Tadino-Regione Umbria emessa dalla Corte di Appello sezione Usi Civici di Roma, la Comunanza Agraria “Appennino Gualdese commenta la conferma dell’appartenenza all’ente montano della particella n. 205, foglio n. 44 in quanto facente parte di proprietà collettiva.
Si tratta di una particella che riguarda in parte uno dei capannoni del vecchio stabilimento Rocchetta.
“La soppressione di alcune particelle nel passato aveva portato a costituire un’unica particella per la costruzione del nuovo capannone industriale, situato immediatamente dietro le nuove fontanelle, cioè il primo a destra salendo verso l’originaria fonte della Rocchetta – spiega in una nota la Comunanza – Il famoso capannone che nel mitico progetto Rocchetta Spa veniva ceduto al Comune di Gualdo Tadino. Il riconoscimento della proprietà della particella n. 205, foglio 44, in capo alla Comunanza Agraria per 1/8 del capannone, perché bene collettivo, ora origina seri problemi. Il terreno di cui trattasi essendo bene collettivo non potrà essere oggetto di transazione con la Società che detiene i 7/8 del capannone stesso perché inalienabile. L’altra alternativa possibile allo stato dei fatti è l’abbattimento dello stesso fabbricato con ripristino dello stato dei luoghi, precedente alla costruzione del capannone industriale.”
L’ente montano entra poi entra anche nel giudizio dato dalla Corte di Appello riguardante l’appartenenza dei corpi idrici al dominio collettivo o meno in base alla legge 168 del 2017.
La Corte d’Appello di Roma ha spiegato nella sentenza che “non tutti i corpi idrici che insistono nei demani collettivi appartengono originariamente alla collettività di riferimento, avendo il legislatore precisato che i corpi idrici rientrano nei beni collettivi a condizione che su di essi i residenti del comune o della frazione abbiano esercitato ed esercitano usi civici“. Quindi per i giudici romani in questo ambito vi rientra soltanto la sorgente storica perché, scrivono, “solo essa è stata utilizzata dalla popolazione nel corso degli anni”.
“Le sentenze vanno rispettate – evidenzia la Comunanza – ma non possiamo non palesare la nostra perplessità nel veder riconosciuto in generale il diritto sulle acque nei terreni di uso civico, come la legge prevede, ma ad eccezione di Gualdo Tadino. Due gli elementi principali utilizzati per asserirlo:
1) La Corte ha deciso di non intervenire, disapplicandola, sulla proroga poiché sarebbe legittima in quanto la Sentenza del Consiglio di Stato sarebbe passata in giudicato. Quindi in forza di questo essere “passato in giudicato l’attività concessoria sarebbe legittima, come pure legittima diventa la compressione dei diritti di uso civico dei gualdesi. Un colpo di bacchetta magica, peccato che la sentenza del Consiglio di Stato non sia ancora passato in giudicato, ma penda il prossimo giudizio in Cassazione.
2) Nonostante le premesse enunciate, rigorose e rispettose delle leggi sugli usi civici, la Corte conclude con nostra grande sorpresa che i corpi idrici rientrano nei beni collettivi, a condizione che su di essi i residenti del comune abbiano esercitato usi civici. Riassumendo: siccome l’acqua non l’abbiamo usata nel passato, allora i nostri diritti non ci sono più. Oltre a questa incredibile incongruenza ve ne è un’altra relativa all’uso delle acque. Infatti in realtà la Comunanza, con il contratto Righi datato 1959, aveva da un lato regolamentato l’imbottigliamento a fini commerciali e dall’altro garantito l’approvvigionamento idrico dalla sorgente della popolazione e quel contratto in continuità è quello da cui scaturì anche la concessione attuale. La Comunanza ha usato quell’acqua da sempre.
“La Comunanza – conclude la nota – non può quindi che proseguire nella sua attività di tutela del patrimonio collettivo intergenerazionale, comprendente terre ed acque.”