La revisione dei criteri per la classificazione dei Comuni montani, che il Governo si appresta a portare in Conferenza Unificata, apre un nuovo fronte di tensione tra l’esecutivo e gli enti locali.
Alla vigilia della riunione, è Massimiliano Presciutti, sindaco di Gualdo Tadino e presidente della Provincia di Perugia, a prendere posizione con toni netti, parlando di una scelta destinata a lasciare segni profondi soprattutto lungo la dorsale appenninica.
Secondo Presciutti, che interviene nella veste di vicepresidente nazionale di ALI – Autonomie Locali Italiane, la proposta annunciata dall’esecutivo rappresenta “un errore grave, sia nel metodo sia nel merito”, capace di produrre “un danno strutturale a centinaia di comunità” e di “compromettere definitivamente ogni idea di coesione territoriale nel nostro Paese“.
Un giudizio che arriva mentre il Governo si prepara a illustrare ufficialmente la revisione dei criteri, destinata a incidere sull’accesso a risorse e strumenti riservati ai territori montani.
Nel mirino di Presciutti c’è l’impostazione stessa della riforma, accusata di ridurre la montagna a una sommatoria di parametri tecnici.
“Siamo di fronte a una scelta che riduce la montagna a una questione puramente altimetrica e morfologica, ignorando deliberatamente le condizioni reali in cui vivono le persone“, afferma Presciutti, elencando fragilità dei servizi, difficoltà di accesso, spopolamento e marginalità economica e sociale.
Una visione definita “tecnocratica e miope” che, a suo avviso, non porta nuove risorse ma “cancella con un tratto di penna decenni di politiche, pur imperfette“ pensate per riconoscere la specificità delle aree interne.
La critica si sposta poi sul piano politico e finanziario. “L’operazione messa in campo dal ministro Calderoli non serve a rafforzare la montagna, ma a ridurre platee e risorse”, sostiene il vicepresidente di ALI, parlando di un meccanismo che, attraverso un prelievo sulle Regioni, finirebbe per scaricare sui Comuni il peso di una redistribuzione non dichiarata.
Il rischio, secondo Presciutti, è quello di “creare una competizione artificiale tra territori” e di “spaccare il Paese tra chi resta dentro e chi viene escluso”, senza una valutazione seria sull’impatto.
Particolarmente dura è la lettura delle conseguenze per l’Appennino. “Colpire l’Appennino come avverrebbe significa colpire l’ossatura stessa dell’Italia”, afferma Presciutti, ricordando che in questi territori la montagna non è solo una questione di quota, ma “presidio umano, cura del territorio, prevenzione del dissesto idrogeologico, tutela del paesaggio, coesione sociale”.
L’esclusione di centinaia di Comuni dagli strumenti dedicati rischierebbe, secondo questa analisi, di accelerare processi già in atto: spopolamento, indebolimento dei servizi essenziali, declino irreversibile delle aree più fragili.
Da qui la richiesta di un cambio di rotta. “Una legge sulla montagna dovrebbe servire a rafforzare le comunità che la abitano, investendo, non a ridisegnare confini amministrativi per esigenze di bilancio”, osserva Presciutti, indicando la necessità di criteri “compositi“, capaci di tenere insieme dati geografici e indicatori socio-economici, qualità dei servizi, infrastrutture e dinamiche demografiche. “Ogni altra strada è una scorciatoia che produce diseguaglianze”, avverte.
La conclusione è un appello diretto all’esecutivo, alla vigilia del confronto istituzionale: “Chiediamo al Governo di fermarsi e di aprire un confronto vero con le rappresentanze istituzionali”. E l’avvertimento politico è chiaro: sull’impianto della proposta che il ministro Calderoli intende presentare, «in Conferenza Unificata non può esserci un’intesa“.
COSA PREVEDE LA RIFORMA
La proposta del Governo sulla nuova classificazione dei Comuni montani punta a ridefinire in modo uniforme e oggettivo che cosa si intende per “montagna” in Italia.
Secondo il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, si tratta di una riforma attesa da decenni, pensata per superare criteri ormai vecchi e risolvere quello che definisce un “paradosso italiano”: oggi circa il 35% del territorio nazionale è montano, ma oltre il 55% dei Comuni risulta inserito negli elenchi ufficiali come Comune montano.
I nuovi criteri si basano esclusivamente su parametri geografici e morfologici. Un Comune sarà considerato montano se almeno il 25% del suo territorio si trova sopra i 600 metri di altitudine e il 30% presenta una pendenza superiore al 20%. In alternativa, potrà essere classificato come montano un Comune con un’altitudine media superiore ai 500 metri. È previsto infine un criterio di “inclusione” per evitare casi limite: potranno essere considerati montani anche quei Comuni con altitudine inferiore, ma interamente circondati da territori che rispettano uno dei primi due requisiti.
L’applicazione di questi parametri produrrebbe una riduzione significativa del numero dei Comuni montani: dagli attuali circa 4.000 si passerebbe a circa 2.800. Una scelta che, secondo il Governo, consentirebbe di rendere più coerente il sistema e di concentrare le risorse su territori che rispondono a una definizione più rigorosa di montagna.
È proprio questo l’aspetto più contestato da Regioni ed enti locali, in particolare lungo l’Appennino. L’uscita dalla classificazione di Comune montano comporterebbe infatti la perdita di accesso a finanziamenti dedicati, agevolazioni fiscali e normative specifiche, incidendo su servizi, infrastrutture e politiche di contrasto allo spopolamento. Le critiche si concentrano anche sul fatto che la riforma non prevede nuove risorse: a cambiare sarebbe soprattutto la platea dei beneficiari.
Secondo le amministrazioni regionali e le associazioni dei Comuni montani, i nuovi criteri rischiano di favorire le aree alpine, più elevate e compatte dal punto di vista altimetrico, penalizzando l’Appennino, dove la montagna è spesso meno “alta” ma più fragile sotto il profilo demografico, economico e infrastrutturale. Da qui l’accusa alla riforma di dividere i territori e di creare Comuni di “serie A” e di “serie B”.
Il Governo rivendica invece la necessità di un riordino complessivo, sostenendo che la proposta nasce dal confronto con enti territoriali e da studi tecnici e che ora sarà sottoposta alla valutazione della Conferenza Unificata. È proprio in quella sede che si giocherà il passaggio decisivo: tra l’obiettivo dichiarato di fare chiarezza e le richieste degli enti locali di fermare o modificare una riforma che, così com’è, rischia di ridefinire in profondità la geografia istituzionale della montagna italiana.

















